… Maria, Maria, Maria dal fango può nascere un fiore! Maria, Maria, Maria l’Italia nel cuore!
… Maria, Maria, Maria dal vento può nascere il sole! Maria, Maria, Maria l’Italia ti vuole!…
Maria Pasquinelli, insegnante di Pola, fiorentina di nascita, uccise con tre colpi di pistola il Brigadiere Generale inglese Robert W. De Winton, comandante la guarnigione “alleata” di Trieste. Era il 10 febbraio 1947 giorno della firma del diktat impostoci dai vincitori, con il quale veniva ratificata la cessione dei nostri territori orientali agli slavi e di Briga e Tenda alla Francia.
Maria Pasquinelli, italiana di purissimi ideali non sopportò l’oltraggio, e per protesta contro l’iniquo trattato interpretò i sentimenti di buona parte degli italiani, facendosi carico in prima persona dell’ingrata missione di colpire, nel loro rappresentante, i governi responsabili di tanta ingiustizia.
Ingiustizia che avallò e consentì il protrarsi dell’infame genocidio in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia. Terre che 350 mila italiani furono costretti a lasciare, abbandonando le loro case e i loro averi, per sottrarsi alla stessa crudele morte che già aveva colpito a migliaia i loro corregionali vilmente gettati, dopo aver subito inenarrabili sevizie, nelle cavità carsiche dagli aguzzini slavo-comunisti. Complici i comunisti nostrani traditori e Caini dei loro fratelli.
Maria Pasquinelli, una mite insegnate elementare, con quella decisione, sicuramente frutto di un interiore travaglio, fece propri ed interpretò i sentimenti di migliaia di italiani.
Maria Pasquinelli fiorentina di nascita si era diplomata maestra elementare e successivamente laureata in pedagogia a Bergamo. Fascista fervente, frequentò la Scuola di Mistica Fascista. Nel 1940 si era arruolata volontaria crocerossina al seguito delle nostre truppe in Libia. Era animata da un fervente amore per la patria, che le faceva trascurare gli affetti sentimentali e familiari. Sul fronte libico notò “l’insufficiente partecipazione al combattimento di chi l’aveva predicato” e il basso morale delle truppe “non illuminate da alcun ideale”. Nel novembre 1941 lasciò l’ospedale di El Abiar (a 40 Km da Bengasi), dove lavorava, per raggiungere la prima linea travestita da soldato con la testa rapata e documenti falsi. Fu scoperta, riconsegnata ai suoi superiori e rimpatriata in Italia. Nel gennaio 1942 chiese di essere inviata come insegnante in Dalmazia e per qualche tempo insegnò l’italiano a Spalato (allora annessa all’Italia nel Governatorato di Dalmazia).
Dopo l’8 settembre 1943, e le stragi di italiani compiute in Dalmazia ed Istria dai titini, aiutò a recuperare le salme dei militari e a documentare le atrocità delle foibe.
A Spalato trovò una fossa comune dove erano sepolti 200 militari della “Bergamo” e partecipò al recupero di altre centinaia di infoibati.
La mattina del 10 febbraio 1947 faceva molto freddo, c’era una bora gelida che spazzava le strade della città che pareva in disarmo, le luci dei bar erano spente, le saracinesche dei negozi abbassate e gruppi di persone si affannavano imprecando intorno a carri e carretti colmi di masserizie. I cittadini di Pola si erano illusi nei venti mesi di presenza di militari alleati di sfuggire al destino di passare sotto la Jugoslavia, destino che aveva già colpito gli italiani di quasi tutta l’Istria e della Venezia Giulia.
Ma ora bisognava fare i conti con la realtà: per espresso desiderio, il passaggio di poteri sulla città di Pola avrebbe avuto luogo in concomitanza con la firma del trattato di pace. Per l’occasione, la guarnigione britannica era stata schierata davanti alla sede del comando ed il generale De Winton fu invitato a passarla in rassegna.
La cerimonia si svolse sotto la pioggia e davanti a pochi curiosi dai quali si levarono mormorii di disapprovazione e qualche grido ostile: i polesani si sentivano abbandonati e traditi dai loro protettori.
De Winton stava avanzando verso il reparto schierato quando, dalla piccola folla presente, si staccò la Pasquinelli che si diresse verso l’ufficiale. Fu questione di un istante: estrasse dalla borsetta una pistola e fece ripetutamente fuoco senza pronunciare una sillaba.
Tre proiettili colpirono al cuore il generale che morì sul colpo, un quarto colpo ferì il soldato che aveva cercato di proteggerlo.
Grazie ad Indro Montanelli, presente a Pola come inviato del Corriere della Sera, fu possibile conoscere la vera motivazione dell’attentato che spiegava le ragioni del delitto.
In tasca della Pasquinelli venne trovato un biglietto-confessione nel quale spiegava le ragioni che l’avevano portata a compiere quel gesto. In questo biglietto dopo un preambolo sull’italianità dell’Istria e sul sangue versato dai martiri italiani si leggeva: “Io mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d’Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda consapevolezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo per la nostra gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio”.
Maria Pasquinelli fu processata due mesi dopo il fatto dalla Corte Militare Alleata di Trieste. Il dibattito si svolse senza tumulti né colpi di scena. L’imputata si dichiarò colpevole e spiegò le ragioni che l’avevano indotta a compiere l’attentato.
“Ringrazio la Corte per le cortesie usatemi, ma fin d’ora dichiaro che mai firmerò la domanda di grazia agli oppressori della mia terra.“
Fù condannata a morte e In seguito, la pena capitale fu commutata nel 1954 in ergastolo e fu trasferita nel penitenziario di Perugia. Nel 1964 tornò in libertà.