Medaglia d’Argento al valor militare
«Sotto l’intenso fuoco nemico, accorreva arditamente ad assumere il comando di un plotone di lanciatori di bombe, del quale erano già caduti feriti due comandanti. Colpito egli stesso alla testa e portatosi per insistenza del suo capitano al posto di medicazione, non appena medicato, ritornava sulla linea di fuoco, dando mirabile esempio di coraggio e serenità.»
— Monte Zebio, 6 luglio 1916
Medaglia d’Argento al valor militare
«Alla testa del plotone zappatori, si slanciava all’assalto delle posizioni nemiche sotto l’imperversare del fuoco di artiglieria, di mitragliatrici e di fucileria, incitando con l’esempio e con la voce i suoi dipendenti, finché cadeva mortalmente colpito in fronte.»
— Monfalcone, 10 ottobre 1916
Antonio Sant’Elia (Como, 30 aprile 1888 – Monfalcone, 10 ottobre 1916) è stato un architetto italiano, esponente del futurismo.
Antonio Sant’Elia nasce il 30 aprile 1888 a Como da Luigi Sant’Elia e Cristina Panzilla. Scopre sin da quando era bambino una predisposizione naturale all’architettura e al disegno, oltre che doti sportive, specie nel salto e nella corsa.
L’anno successivo ottiene l’incarico di collaboratore esterno presso l’Ufficio Tecnico Comunale di Milano, in qualità di disegnatore edile.
Nel 1909, dopo aver inviato per un giudizio redazionale lo studio di una villa alla rivista “La Casa”, ed avendone ottenuto la pubblicazione, decide di iscriversi all’Accademia di Brera nel corso comune di Architettura per la durata di tre anni. Frequenta il primo anno con delle buone votazioni e nel 1910 rinnova l’iscrizione, ma non risulta che abbia effettuato l’esame di qualificazione. A Brera, oltre a subire l’influenza dell’insegnante di prospettiva Angelo Cattaneo, Sant’Elia diviene amico dello scultore Girolamo Fontana e dei pittori Mario Chiattone e Carlo Carrà. Frequentando ambienti culturali come il Caffè Cova e il Campari, incontra Umberto Boccioni.
Dopo la rinuncia allo studio di Brera, inizia per Sant’Elia un fruttuoso periodo di concorsi, nel 1911 partecipa al concorso indetto all’Unione Cooperativa di Milanino che rispondesse la progettazione di un villino, ai concetti dell’igiene e del comfort, come recitava il bando. Ne ricava un diploma d’onore. L’anno seguente, riutilizza lo stesso progetto, con qualche modifica strutturale e in versione più rustica, per costruire la “Villa Elisi”, a San Maurizio, Brunate, Como, per conto di Romeo Longatti; per le decorazioni fu coadiuvato da Girolamo Fontana.
Sempre nel 1911, insieme ad Italo Paternoster (suo compagno di studi a Brera), partecipa al concorso internazionale per il nuovo cimitero di Monza, entrando nella graduatoria finale. La commissione selezionatrice esprime, però, un severo giudizio nei confronti del progetto del comasco, in quanto lo ritiene improntato da una speciale e simpatica originalità, ma privo di corrispondenza tra gli alzati, la sezione e le piante.
Nel 1912 Sant’Elia sostiene all’Accademia di Belle Arti di Bologna l’esame per il diploma di “Professore di disegno architettonico”, svolgendo il tema “Facciata di un famedio per il cimitero di una città di media grandezza”. Ottiene l’ottimo risultato di 67/70.
Ancora più brillante è la votazione di 70/70 ottenuto per l’esecuzione del tema sulla progettazione ex-tempore di una “Facciata con portale di un transetto di una grande chiesa metropolitana di una città capitale”.
Tornato a Milano, nel 1913, decide di aprire uno studio di Architettura continuando a collaborare però con gli altri studi, tra i quali quello di Cantoni. Per lo stesso Cantoni disegna gran parte delle tavole progettuali relative al concorso per la nuova sede della Cassa di Risparmio di Verona. Il progetto, approntato anche dal pittore Leonardo Dudreville, si classificò tra i primi cinque degni di considerazione. Invitati dalla commissione giudicatrice ad effettuare modifiche che riuscissero ad inserire meglio l’edificio in uno spazio ricco di richiami storici, il Cantoni e Sant’Elia ripropongono l’elaborato con minime variazioni, aggiudicandosi un terzo posto.
Sempre nel 1913 esegue uno studio e realizza una tomba per la Famiglia Caprotti.
Nel 1914 muore il padre, Luigi Sant’Elia, e Antonio realizza così una nuova tomba nel Cimitero Maggiore di Como. Nel mese di marzo, accettando l’invito dell’Associazione degli Architetti Lombardi, espone in una sala della Permanente di Milano, alcuni schizzi, ottenendo diverse segnalazioni di riviste specializzate. Negli ultimi giorni della mostra, Sant’Elia presenta le tavole della Città Nuova. “Stazione di aeroplani e treni”, “Sei particolari di spazi urbani”, “La casa nuova”, “La centrale elettrica in tre disegni e cinque schizzi d’architettura”.
L’11 luglio esce su un volantino della direzione del Movimento Futurista uno scritto con il titolo “Manifesto dell’Architettura Futurista”.
Nel maggio del 1915 l’Italia decide il proprio intervento nel conflitto mondiale e Sant’Elia, condividendo le idee degli altri esponenti futuristi, si arruola insieme a Boccioni e Marinetti.
Nel 1916, dopo aver ricevuto una medaglia d’argento, viene incaricato dal comandante di disegnare il cimitero della Brigata Arezzo, a Monfalcone, con tombe disposte in fila e allineate secondo la gerarchia militare. Il 10 ottobre, mentre il cimitero è ancora in costruzione, in testa al plotone, durante un’azione d’assalto muore colpito in fronte da una pallottola di mitragliatrice. Il 23 ottobre 1921 i resti dell’architetto furono definitivamente sistemati nel Cimitero Maggiore di Como.
Una visione della “città futurista”, città utopica, città di desiderio, appare già nella prima pagina del Manifesto del futurismo di Marinetti, pubblicato su Le Figaro a Parigi il 20 febbraio 1909:
“Avevamo vegliato tutta la notte (…) discutendo davanti ai confini estremi della logica e annerendo molta carta di frenetiche scritture. (…) Soli coi fuochisti che s’agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nella pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d’ali, lungo i muri della città. Sussultammo a un tratto, all’udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po straripato squassa e sradica d’improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso gorghi di un diluvio. Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l’estenuato borbottio di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell’ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici.”
Il tema della città viene sviluppato molto presto dai futuristi: essa è infatti il luogo privilegiato della modernità che, con la sua forza travolgente, sembra ormai a portata di mano; è il luogo in cui si incarna il futuro, la velocità il movimento. Il paesaggio urbano appare sconquassato dalle luci, dai rumori, che ne moltiplicano i punti di visione. La Città Nuova deve nascere e crescere contemporaneamente alla nuova ideologia del movimento e della macchina, non avendo più nulla della staticità del paesaggio urbano tradizionale.
La città che sale
La strada entra nella casa
La visione della città appare violenta in due opere di Umberto Boccioni (autore anche di un Manifesto dell’Architettura futurista) del 1911, La città che sale e La strada entra nella casa: angoli che si intersecano, forme concentriche, piani tagliati, sono l’immagine del vortice della metropoli moderna.
Il senso del movimento e della velocità, contro quello del monumentale e del pesante viene ripreso nel manifesto di Sant’Elia (firmato 11 luglio 1914, pubblicato in Lacerba, 1914):
« Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca”».
E la nuova metropoli sorge solo sulle carte lasciate da Sant’Elia: città dalle gigantesche interconnessioni tra un edificio e l’altro, spinti verso l’alto da un ascensionale verticismo. A partire dal 1914 fioriscono le proposte progettuali che si sostituiscono nella visione percettiva e sensitiva dell’inizio.
Al “protorazionalismo” di Chiattone fanno eco le proposizioni immaginative di Balla e ancora di Depero (1916), secondo una concezione più plastico-meccanicista, o di Enrico Prampolini (1913-1914) più tesa alla scomposizione.
Le tavole degli anni trenta di Crali, Rancati, Fiorini, Somenzi e Spiridigliozzi rielaborano i temi santeliani delle stazioni multiuso e multilivello, delle case piramidali, del grattacielo e dell’attenzione al trasporto aereo.
La vicenda di questa proposta urbanistica in Italia vide il tentativo da parte di Marinetti di collegare il futurismo al razionalismo, indicandone il capostipite in Sant’Elia, e di fare del proprio movimento l’arte ufficiale del regime fascista, ma la città futurista non trovò committenza. La mancata realizzazione delle progettazioni santeliane non dipende tanto dall’inesistenza di piante o sezioni degli edifici, ricostruibili dai disegni esistenti, quanto dalla non accettazione di proposte così innovative.
A Sant’Elia va il merito di aver intuito la stretta dipendenza tra problema architettonico e problema urbanistico su cui, pur con linguaggi figurativi diversi, si è impostata la progettazione e la riflessione di tutti i movimenti architettonici moderni. L’interessamento del gruppo olandese De Stijl e di Le Corbusier all’architettura futurista è provato da scambi epistolari e da articoli su riviste europee.
Un futuro per l’architettura futurista può essere scorto nell’opera di Richard Buckminster Fuller, inventore statunitense dedicatosi alla ricerca di soluzioni universalmente fruibili e a basso costo per le questioni dell’abitare e del viaggiare. Fuller viene definito un utopista tecnologico per la fiducia nella tecnologia quale strumento per il benessere dell’intera umanità, nel rispetto del sistema ambientale in cui è inserita.
Le sue progettazioni sviluppano tematiche e intuizioni futuriste quali quelle dell’antidecorativismo, della caducità e transitorietà dell’architettura, del mondo come città collegata dalle comunicazioni aeree, della casa mobile, dei veicoli aerodinamici, del dominio su cielo, terra e mare. Nella sua produzione è racchiuso uno dei potenziali percorsi evolutivi che avrebbe forse compiuto l’architettura italiana, se non avesse negli anni venti-trenta troncato i legami con gli inizi storici e gli aspetti filosofici del futurismo e con la base nel mondo della tecnologia.
All’avanguardia marinettiana va riconosciuto il merito di aver tentato di rispondere alle esigenze della vita moderna, proponendo una città verosimile e utopica al tempo stesso, poiché in essa convivono l’analisi della realtà contemporanea, caratterizzata dalla crescente industrializzazione e dall’espansione urbana, con il desiderio di una totale ricostruzione artificiale dell’universo.
Relativamente alla figura di Sant’Elia, la cui vita ed attività sono state troncate dalle vicende belliche, si deve dire che la sua eredità è ragguardevole. Sebbene la maggior parte dei suoi progetti non siano mai stati realizzati, la sua visione futurista ha influenzato numerosi architetti e disegnatori: a lui è stata attribuita l’antesignana idea dell’esposizione degli ascensori sulle facciate degli edifici (anziché tenerli relegati “come vermi solitari” nelle trombe delle scale) ed i suoi disegni della Città nuova hanno ispirato il regista Fritz Lang per le architetture inserite nel suo capolavoro cinematografico Metropolis.
Assieme a Marinetti e Boccioni, scelse di arruolarsi come volontario il giorno in cui l’Italia entrò in guerra contro l’Austria-Ungheria. Inizialmente fece parte in un battaglione volontari ciclisti e poi, nell’inverno del 1916, della Brigata “Arezzo” sul fronte vicentino. Qui, in luglio, ottenne una prima medaglia d’argento dopo un attacco condotto nella zona del Monte Zebio.
Alcune settimane dopo venne trasferito sul fronte carsico. Impegnato nella creazione di un cimitero per i caduti italiani nei pressi della Quota 85 a Monfalcone, il 10 ottobre 1916 guidò un assalto ad una trincea nemica proprio nei pressi di questa quota. Durante l’azione, venne colpito mortalmente alla testa e il suo corpo, dopo essere stato sepolto sul Carso isontino, venne traslato a Como nel 1921.