Nicola Bombacci visse da uomo politico, prestato a quella politica “per cui uno si occupa dei guai degli altri come se fossero propri”, come egli stesso scrisse.
Una banale e quasi infantile definizione di politica, questa, che in tempi come i nostri illumina e fa scuola. Il vivaio in cui crebbe fu quello del più intransigente socialismo; aderì alla corrente massimalista del Partito Socialista Italiano, quella che chiedeva al partito di non distogliere la propria attenzione dai suoi obiettivi massimi, anticapitalistici e rivoluzionari, e di sottoscrivere i 21 punti di Mosca per l’adesione alla Internazionale Comunista. Come avvenne a Mussolini con la fondazione dei Fasci di combattimento, l’essere più socialista degli altri socialisti portò anche Bombacci ad allontanarsi dal partito e dalla sua corrente riformista. Il XVII Congresso del Partito Socialista segnò la scissione che portò alla nascita del Partito Comunista Italiano, del quale Bombacci fu fra i fondatori. Colpevole di aver intravisto, e non per primo, un possibile gemellaggio ideale fra le due rivoluzioni, quella sovietica e quella italiana, nel 1924 fu espulso dal PCd’I, per poi essere reintegrato per intervento diretto dell’Internazionale Comunista.
Nello stesso anno l’Italia di Mussolini fu il primo Paese a riconoscere formalmente l’Unione Sovietica. Anche negli anni della militanza nel PCd’I, Bombacci si mantenne sempre idealmente vicino al fascismo italiano, al punto che, nel 1927, subì una nuova e definitiva espulsione dal partito. La rottura fra Bombacci e il comunismo fu definitiva quando gli eventi accelerarono in direzione del conflitto mondiale prima e della Repubblica Sociale poi. Per Bombacci e per il Fascismo quelli furono gli anni del ritorno alle origini; disilluso nei riguardi del comunismo il primo, e rescissi tutti i legami con monarchia, industriali e borghesia il secondo, il matrimonio politico fra Bombacci e Mussolini fu totale, sancito dalla propaganda e cementato dalla “socializzazione delle imprese”, capolavoro sociale dell’ideologia sansepolcrista e punto più alto della rivoluzione finalmente compiuta.
Bombacci era a proprio agio a parlare da rivoluzionario di qualcosa di realmente rivoluzionario, che avrebbe portato i lavoratori a partecipare alla gestione delle aziende e alla suddivisione degli utili, restituendo al lavoro fisico e intellettuale la medesima dignità del capitale, avviando finalmente il passo verso quella terza via fra capitalismo e socialismo che avrebbe reso inutili e superati i concetti di destra e sinistra. Non fu simpatico ai socialisti, perché li aveva resi “di destra”. Non fu simpatico ai comunisti, perché li aveva resi conservatori. Non fu simpatico ai tedeschi, perché le riforme economiche, soprattutto quelle rivoluzionarie, poco si addicono a una economia di guerra. Piacque, però, immensamente a Mussolini, perché era intellettualmente onesto, perché era un appassionato difensore della più pura anima del socialismo.
Avevano iniziato la loro storia politica insieme, poi uno dei due fu abbagliato da un finto sole, l’altro se ne inventò uno tutto suo che passò alla storia. Non smisero mai di stimarsi e dimostrarono al mondo che un avversario non è necessariamente un nemico, e che si può continuare a combattere senza smettere di rispettarsi. Nicola Bombacci seguì il Duce nella cattiva sorte, quando altri fuggivano o rinnegavano, lui morì gridando “Viva l’Italia! Viva il Socialismo!”, dopo essere stato catturato nella colonna fascista diretta in Valtellina per l’ultima resistenza. Era nel suo destino anche quello di essere al fianco di Mussolini, appeso per i piedi, in Piazzale Loreto. Sotto il suo corpo gli assassini appesero un cartello con scritto “SUPERTRADITORE”. Curioso che quella parola l’abbia scritta una mano partigiana e comunista che, mentre si preparava a diventare il finto baluardo dei lavoratori, si affrettava (questo accadde il 25 aprile 1945) ad abrogare il decreto sulla socializzazione delle imprese.
“Traditore a chi?” potremmo dire noi oggi.
Dall’ingresso a sinistra del Campo 10 la prima lapide è la tua, Nicola Bombacci.
Un giusto tributo verso chi nacque e morì socialista con il cuore puro di un bambino.
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