Alcune delle cose accadute nell’aprile 1945 resteranno per sempre senza spiegazione. Fu guerra civile, è vero, ma un colpo di pistola alla nuca ad un mutilato e invalido è cosa che nemmeno con la guerra civile può essere spiegata. Perché un cieco lo sai che non ti farà del male, che non prenderà mai le armi contro di te, tanto meno se si è guadagnato una medaglia d’oro al Valore Militare, cosa che ti garantisce che questo Uomo la guerra la sa fare davvero, senza abbassarsi al livello infimo del banditismo partigiano e, anzi, elevandosi a una ristretta cerchia di soldati che trovano nella coscienza e nel dovere la forza per sfidare la materia, compresa quella del proprio corpo ormai dilaniato dai combattimenti. Perché non solo con il corpo si combatte ma, soprattutto, con lo Spirito. Carlo Borsani ce lo ha chiarito e le ragioni della sua medaglia d’oro lo decretano come faremo fatica a dimenticare:«Ferito tre volte durante tenace difesa per mantenere il possesso di delicata posizione, ancora degente all’ospedale, chiedeva ed otteneva di partecipare col proprio reparto a nuovo cimento. Assunto volontariamente il comando di un plotone moschettieri arditi, guidava i suoi fanti all’assalto di munita posizione nemica tenacemente difesa. Benché ferito alle gambe da una raffica di mitragliatrice, non desisteva dalla lotta e, nel generoso tentativo di spingersi ad ogni costo sull’obiettivo assegnato, restava più gravemente ferito al viso, agli occhi ed in varie parti del corpo da schegge di bombe da mortaio. Ricoverato in gravissime condizioni, conscio ormai che la vista era irrimediabilmente perduta, esprimeva solo il rammarico di dover desistere dalla lotta, confermando la sua fede e la sua piena dedizione alla Patria». Insomma, l’assassinio di Carlo Borsani, a guerra finita, non ci sta, non ha attenuanti. Meno ancora ci sta che abbiano fatto del suo corpo un “trofeo” da esibire sconciamente per le vie di Milano, con appeso al collo un cartello che oltraggia chi l’ha scritto non certo la vittima: “ex medaglia d’oro”…
Forse non loro lo sanno, ma la medaglia d’oro non si revoca. Carlo Borsani è, sarà sempre, medaglia d’oro al Valor Militare. Oggi come allora, per aver difeso la Patria, terra dei padri, di tutti i padri, anche di quelli che hanno generato i suoi assassini vigliacchi.
Ci sono storie che qualificano, altre che squalificano, questa storia fa entrambe le cose. Ad uscirne da Eroe è, ancora una volta, Carlo Borsani. Perché lui, cieco ma impavido, con l’ultimo fiato che gli rimaneva ha gridato “VIVA L’ITALIA” stringendo in mano la prima scarpetta di lana del figlio. Perché quando i suoi assassini lo hanno fatto sfilare per la città su di un carretto, lo scherno è diventato ostensione. Perché il nome di Carlo lo abbiamo ancora, indelebile, sulle labbra e, poi, sulla sua lapide, mentre il nome di chi lo ha ucciso non vi è chi lo conosca (solo chi lo sussurra per timore e vergogna). In fondo, spiace che Carlo non abbia potuto guardare negli occhi chi lo ha ucciso, perché di certo ne avrebbe avuto pietà.
Ecco perché Carlo Borsani, oggi, ha una targa a Piazzale Susa che fa urlare il “Presente” a centinaia di ragazzi ogni 29 aprile. Ecco perché lo custodisce il Campo10, il Campo dell’Onore. Ed ecco perché siamo orgogliosi, persino un po’ smarriti, quando ci avviciniamo alla sua lapide per pulirla e decorarla, come le altre mille, e a lui, primo delle tre medaglia d’oro sepolte al Campo, ancora oggi ci rivolgiamo, sull’attenti:
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