Alessandro Pavolini (Firenze, 27 settembre 1903 – Dongo, 28 aprile 1945) è stato giornalista, politico e scrittore italiano, ministro della Cultura Popolare, segretario del Partito Fascista Repubblicano (PFR), Comandante delle Brigate Nere, partecipò alla stesura dei 18 punti di
Verona e fu fra gli ideatori del progetto di resistenza estrema denominato “Ridotto Alpino Repubblicano”.
“La notte fra il 24 e il 25 luglio, Pavolini è informato di quanto è accaduto al Gran Consiglio. “Perché? Perché?” mormora. Ha le lacrime agli occhi. La sua decisione è fredda e meditata. “Dal regime ho avuto tutto” afferma “e intendo restituirgli tutto.” Poi, sorridendo, dice rivolto al fratello “So perfettamente come andrà a finire: in fondo a questa strada mi aspetta il plotone d’esecuzione.” Eccolo nelle parole di Nino Di Forti, ispettore del PFR; “Pavolini era un artista, meglio un poeta, ma soprattutto un credente. Per lui il fascismo non era soltanto una dottrina, ma una religione, professata con amore ed orgoglio di capo ed umiltà di gregario. (…) l’uomo non farneticava come uccidere, ma aveva deciso come morire.”
Squadrista già dal 1920, Pavolini fu l’uomo che forse più di ogni altro incarnò l’archetipo teorizzato da Mussolini e Gentile in “Dottrina del Fascismo”, l’uomo del fascismo “che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione, che sopprime l’istinto della vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio: una vita in cui l’individuo, attraverso l’abnegazione di sé, il sacrificio dei suoi interessi particolari, la stessa morte, realizza quell’esistenza spirituale in cui è il suo valore di uomo.”
Santo del fascismo, perfettamente assimilabile ai modelli della Scuola di Mistica Fascista di Niccolò Giani, ascende fanaticamente al rango di soldato politico negli anni della militarizzazione della politica e della politicizzazione dell’esercito, quelli in cui la difesa dell’ideale fascista era diretta responsabilità armata del Partito Fascista Repubblicano, ormai confuso in maniera indistinguibile con le Brigate Nere, delle quali dunque il Segretario del PFR era a capo. Disperato del fascismo, a chi nei tragici anni di Salò gli chiedeva cosa bisognasse fare, rispondeva “Tutto, meno che arrenderci”. Morirà nel tentativo di seguire il Duce. “Dobbiamo morire da fascisti!” gridò ai suoi camerati abbandonando l’autoblinda ormai nelle mani dei partigiani. Ferito, si trova poco dopo insieme ad altri quattordici davanti al plotone d’esecuzione. Ordina l’attenti e muore gridando “Viva l’Italia!” Compiuto l’atto mistico, asceso alla sua passione, si consacra all’immortalità degli eroi, impulsato fino all’ultimo respiro dalla morale sacrificale dell’autentico Uomo Nuovo, il brigatista nero, per l’eternità suggellato nella figura mistica di Alessandro Pavolini.
Alla tua croce per deporre un fiore
ci si accosta schermando la vista
come se s’avessero abbacinati gli occhi
dal bagliore delle cose immense.
Camerata Alessandro Pavolini, Presente!
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