A Cernaieto di Casina i partigiani comunisti seppellirono non meno di 24 persone: i militi del presidio Gnr di Montecchio trucidati nei giorni della Liberazione nonostante si fossero arresi con la promessa di aver salva la vita, ragazzini di 15 e 16 anni che ebbero il solo torto di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e tre donne. Fra queste Paolina Viappiani, una ragazza madre di Bibbiano che aveva avuto il figlio da un importante partigiano comunista: fu sequestrata nel marzo 1945, portata nel carcere partigiano di Vedriano, uccisa e sepolta nel bosco della Trinità. Solo pochi anni fa, dopo l’installazione della croce-memoriale ai margini del bosco di Cernaieto, il figlio Paolo – un imprenditore oggi in pensione – ha trovato la forza di raccontare il dramma di sua madre e della sua vita.
La storia, i misteri, i segreti di Cernaieto – dove avvenne uno dei massacri più gravi della Liberazione e del dopoguerra nel Nord – vengono raccontati per la prima volta in un quadro d’insieme nel libro di Filippi e Ghiggini. E’ anche la storia di un’indagine sul campo, alla quale molti hanno contribuito in un lavoro di anni e anni, e della croce alzata nel bosco della Trinità, oggi diventato un piccolo santuario della memoria. Memoria alla quale tutti hanno diritto, anche se indossavano la divisa della Repubblica sociale.
Oltre alla vicenda tragica e emblematica di Paolina Viappiani, il libro ricostruisce anche le incredibili peripezie di Evaristo Fava, sopravvissuto alla fucilazione e salvato dal coraggio degli impiegati delle Poste; il mistero della sparizione del Liber Mortuorum della chiesa di Pianzo; le denunce dell’esistenza della fosse comuni da parte dei partigiani delle Fiamme Verdi attraverso la Nuova Penna di Giorgio Morelli “Il solitario”. Rivela anche testimonianze inedite sulla morte del partigiano Lodovico Landini “Sergio”, non trucidato dai militi fascisti, ma ucciso dal “fuoco amico” durante la battaglia di Montecchio. La soppressione dell’intero presidio Gnr, in spregio a ogni convenzione di guerra, potrebbe spiegarsi proprio con l’imperativo di coprire quella verità.